Un’altra nave cinese carica di armi per Haftar sequestrata in Italia: «La segnalazione dagli Usa». Ecco cosa sta succedendo

Il 28 giugno la Finanza di Reggio Calabria ha sequestrato una portacontainer, la Msc Apolline, partita dalla Cina e diretta a Bengasi, in Libia: la stessa vicenda del 18 giugno. Qualche settimana prima Meloni ha incontrato l’uomo forte della Cirenaica 

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di Federico Fubini

È successo di nuovo. La trama si è snodata ancora una volta, identica a quella di dieci giorni prima. Stesso porto, stesso molo, stessa origine, nave gemella, stessa rotta. Stessa destinazione: il clan libico e ormai apertamente filo-russo di Khalifa Haftar, il signore della guerra di Bengasi. E stesso epilogo: sequestro ad opera della Guardia di Finanza a Gioia Tauro, in Calabria. Anche il materiale del resto è molto simile a quello di dieci, perché sono armi da guerra nascoste in un grande porta-container.

È così che le tensioni crescenti fra Cina e Russia, da un lato, e l’alleanza dei governi occidentali, dall’altro, arrivano alle coste italiane. Letteralmente.

Il sequestro di una nave di armi destinate ad Haftar

Il 28 giugno il comando provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria e l’Agenzia delle Dogane sono intervenuti sulla Msc Apolline, una portacontainer lunga 400 metri, larga 61, che aveva appena attraccato a Gioia Tauro. Era partita da Yantian, il porto della megalopoli industriale cinese di Shenzhen, aveva circumnavigato l’Africa per evitare la minaccia degli attacchi degli Houthi all’ingresso nel Mar Rosso verso Suez, aveva fatto scalo prima a Valencia e poi a Barcellona. Ma solo all’approdo in Italia, da dove parte della merce avrebbe dovuto proseguire per Bengasi, è arrivata l’indicazione delle autorità americane: la nave conteneva armi destinate al clan degli Haftar, da sequestrare.

Il precedente del 18 giugno

Si è ripetuta esattamente la vicenda del 18 giugno, raccontata dal Corriere. Allora era stata la volta della Msc Arina, nave gemella della Apolline. L’armatore, la Msc della famiglia italo-svizzera Aponte, non commenta in alcun modo la seconda operazione: tutti i soggetti coinvolti in questa vicenda sanno che non sono affatto rari i casi in cui i traffici e il contrabbando avvengono totalmente all’insaputa delle compagnie che forniscono il trasporto via mare.

La segnalazione dell’intelligence Usa

In entrambi i casi la segnalazione alle autorità italiane era arrivata dall’amministrazione americana, che aveva raccolto indicazioni della sua intelligence. E in entrambi i casi l’operazione è scattata in Italia, non negli scali precedenti dei due mercantili, per esempio a Singapore e in Spagna (la quale è pure alleata degli Stati Uniti e pienamente parte dell’Alleanza atlantica). Per il governo di Roma, non si è trattato di interventi privi di potenziali implicazioni.

Solo poche settimane prima Giorgia Meloni, in viaggio in Libia il 7 maggio, aveva riservato una tappa proprio a Bengasi da Haftar. La presidente del Consiglio in quell’occasione aveva avvertito l’uomo forte della Cirenaica sulla necessità di «mettere fine alla presenza di forze straniere sul suolo libico», come aveva riferito allora l’Ansa.

Il senso del riferimento di Meloni quel giorno non può essere sfuggito a Haftar: soprattutto negli ultimi mesi la Russia ha fatto sbarcare nel porto di Tobruk, controllato dagli Haftar, almeno 1.800 miliziani e pesanti quantitativi di armi in arrivo da Tartus in Siria. In questa fase il Cremlino sembra voler approfittare della guerra a Gaza e della campagna elettorale negli Stati Uniti – tutti fattori di distrazione, per la Casa Bianca – in modo da accelerare la penetrazione militare in Libia e in Africa subsahariana, proprio grazie all’accesso consentito da Haftar.

Ma per quanto abbia messo in guardia il signore della Cirenaica sul ruolo della Russia, Meloni ha anche cercato di garantire rapporti il più possibile distesi dell’Italia con il regime informale di Bengasi. Haftar è in grado di influire sulle rotte dei migranti o persino sull’accesso dei pescherecci italiani nel Mediterraneo centrale. La premier ha dunque lavorato, con realismo, a mantenere un rapporto aperto con il clan che controlla la Cirenaica.

L’approccio di Meloni visto dagli Stati Uniti

Visto dagli Stati Uniti, tuttavia, questo approccio non funziona più. L’aumento della pressione russa su Haftar sta convincendo l’amministrazione di Joe Biden che è giunta l’ora di reagire; in particolare, di mettere sotto sanzioni alcune entità legate al clan della Libia orientale. Il Tesoro americano a metà giugno ha già colpito con le sue misure la Jsc Goznak, un’azienda di Stato russa accusata di aver stampato per gli Haftar falsi dinari libici per l’equivalente di un miliardo di dollari. Il denaro sarebbe stato usato, in parte, proprio per pagare i miliziani russi in Cirenaica.

Ora i sequestri a Gioia Tauro di droni da combattimento, di artiglieria anti-aerea e di altri strumenti militari non contribuiranno a distendere i rapporti. Per l’Italia del resto era impossibile fingere di non vedere ed evitare gli interventi sulle due navi arrivate dalla Cina. Ma, dopo questi episodi, la strategia del realismo con Haftar non diventa certo più facile per Giorgia Meloni: niente lo è quando le tensioni geopolitiche e i preparativi militari arrivano, letteralmente, alle frontiere italiane.

Intanto, come già prima la Msc Arina, anche la Msc Apolline è ripartita verso il Marocco. Senza il carico destinato alla Libia.

 

fonte: CORRIERE DELLA SERA

 

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