Una ricerca del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e Fondazione IRCCS Istituto Auxologico Italiano mostra che i campi magnetici possono essere impiegati come veri e propri farmaci
Dopo 24 mesi di trattamento con stimolazione magnetica cerebrale transcranica statica, oltre il 70% dei pazienti con Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è sopravvissuto senza necessità di ricorrere alla ventilazione meccanica, a fronte del 35% dei pazienti che non avevano ricevuto questo trattamento: è il dato più rilevante che emerge da uno studio della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e della Fondazione IRCCS Istituto Auxologico Italiano.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica
La SLA è una patologia neurodegenerativa che limita progressivamente le capacità motorie togliendo la possibilità di camminare, parlare e deglutire e che, nelle fasi più avanzate, coinvolge muscoli respiratori e rende necessaria la ventilazione meccanica. Si stima che in Italia vi siano oltre 6.000 persone con SLA. Ad oggi non esistono terapie in grado di modificare sostanzialmente il decorso inesorabile della malattia. Questo studio offre nuove speranze ai pazienti e alle loro famiglie e incoraggia tutti coloro che sono impegnati ad accrescere le conoscenze medico-scientifiche per prendersi cura della vita della persona in tutte le sue fasi.
Lo studio
Lo studio dei ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, guidati dal professor Vincenzo Di Lazzaro, e dei colleghi della Fondazione IRCCS Istituto Auxologico Italiano, guidati dal professor Vincenzo Silani, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Regional Health Europe.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica
La SLA è una patologia neurodegenerativa che limita progressivamente le capacità motorie togliendo la possibilità di camminare, parlare e deglutire e che, nelle fasi più avanzate, coinvolge muscoli respiratori e rende necessaria la ventilazione meccanica. Si stima che in Italia vi siano oltre 6.000 persone con SLA. Ad oggi non esistono terapie in grado di modificare sostanzialmente il decorso inesorabile della malattia. Questo studio offre nuove speranze ai pazienti e alle loro famiglie e incoraggia tutti coloro che sono impegnati ad accrescere le conoscenze medico-scientifiche per prendersi cura della vita della persona in tutte le sue fasi.
Lo studio
Lo studio dei ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, guidati dal professor Vincenzo Di Lazzaro, e dei colleghi della Fondazione IRCCS Istituto Auxologico Italiano, guidati dal professor Vincenzo Silani, è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Regional Health Europe.
La tecnica
Una nuova tecnica assolutamente non invasiva in grado di modulare attraverso l’utilizzo di campi magnetici l’eccitabilità delle cellule nervose correggendo l’ipereccitabilità che porta a morte i neuroni motori nei pazienti con SLA. Anche se le cause di questa patologia sono ancora sconosciute, recenti ricerche hanno infatti dimostrato che un’eccessiva risposta agli impulsi eccitatori da parte delle cellule nervose che controllano il movimento può innescare il processo degenerativo.
L’approccio impiegato in questa ricerca utilizza la stimolazione magnetica non invasiva al posto dei farmaci – per questa ragione chiamata elettroceutica – e viene studiato nella SLA dal gruppo diretto dal professor Di Lazzaro da oltre venti anni. Diversi studi preliminari hanno dimostrato che è possibile ottenere un lieve ma significativo rallentamento della progressione di malattia. Recentemente è stata introdotta una nuova forma di elettroceutica che utilizza un campo magnetico di tipo statico (si tratta di un potente magnete) la quale, per la sua semplicità di impiego, può essere utilizzata direttamente dai pazienti a domicilio, quotidianamente e per periodi prolungati.
La sperimentazione
In uno studio preliminare la stimolazione magnetica statica è stata sperimentata in due pazienti con una forma di SLA a rapida evoluzione, nei quali si è osservato un significativo rallentamento della progressione di malattia. Sulla base di questa preliminare esperienza nel 2019, è stato avviato l’attuale studio, che ha coinvolto 40 pazienti affetti da SLA con l’obiettivo primario di valutare se la stimolazione sia in grado di ridurre la progressione di malattia durante un periodo di trattamento di 6 mesi. Al termine di tale periodo non si è osservato un significativo cambiamento nella velocità di progressione della malattia. Tuttavia, i ricercatori e, soprattutto, i pazienti non si sono arresi e lo studio è proseguito per ulteriori 18 mesi, al termine dei quali i risultati osservati, al contrario di quelli emersi nel breve periodo, appaiono estremamente promettenti.
Vincenzo Russo è stato il primo paziente che ha deciso di sottoporsi volontariamente alla stimolazione magnetica statica e che continua a promuovere la ricerca sulla SLA tramite i suoi amici dell’associazione ANCE di Salerno
“Si tratta di una differenza significativa che ci fa essere ottimisti, ma che deve essere considerata con prudenza. Infatti, quando uno studio non raggiunge l’obiettivo primario, ma l’evidenza di efficacia emerge da una prosecuzione del medesimo in una modalità cosiddetta in aperto, sono necessarie ulteriori conferme – sottolinea Vincenzo Di Lazzaro, direttore della Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico -. Quindi, anche se i risultati ci rendono decisamente ottimisti, non possiamo concludere di aver trovato la cura della SLA. Possiamo tuttavia affermare con sicurezza che sono pienamente giustificati ulteriori studi che valutino l’efficacia della stimolazione magnetica statica in un maggiore numero di pazienti e con un periodo di trattamento prolungato“.
“Questo studio apre un’inattesa prospettiva positiva per i pazienti – sottolinea Vincenzo Silani, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze della Fondazione IRCCS Istituto Auxologico Italiano – Centro ‘Dino Ferrari’, Università degli Studi di Milano -. L’elettroceutica si dimostra oggi una componente imprescindibile per una combinazione terapeutica che molti ritengono rappresentare la soluzione definitiva per una malattia caratterizzata da diversi momenti patogenetici. Le future strategie terapeutiche dovranno adeguatamente tenere in conto i dati oggi prodotti con questo studio”.
FONTE: RAINEWS
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