L’attuale situazione del Paese, segnata da violenze e scontri continui, interpella la Comunità internazionale affinché eserciti la propria Responsabilità di Proteggere
Il popolo del Myanmar è ora indifeso e si sente impotente mentre la Comunità internazionale continua a discutere sulla possibile prossima linea di condotta su questa grave situazione, ha affermato il Rappresentante del Myanmar presso le Nazioni Unite. L’attuale situazione, infatti, non è né una disputa politica né una lotta leale tra le diverse fazioni, nemmeno un affare meramente interno del Paese. Se alle forze armate del Myanmar sarà permesso di continuare la loro attività impunemente, i posteri interrogheranno coloro che tacciono sul mancato intervento di fronte alle brutalità e alle uccisioni di tanti giovani.
Il 18 settembre 1999, in un articolo su «The Economist», l’allora Segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, sottolineava la necessità di un: «Intervento tempestivo della Comunità internazionale quando la morte e la sofferenza vengono inflitte a un gran numero di persone», rispondendo ad alcune domande su quali criteri autorizzano un intervento per proteggere la dignità umana e arrestare sofferenze ingiustamente inflitte. Infatti, si possono riportare diverse teorie sul fine dello Stato, ma è comune ad ogni concezione il compito imprescindibile della protezione della vita dei propri cittadini, tant’è che la legittimità del potere stesso passa proprio dalla capacità di proteggere e offrire speranza di vita.
Anche per questo, il 17 marzo scorso, durante l’Udienza generale, il Santo Padre Francesco ha voluto attirare l’attenzione della Comunità internazionale, ricordando che: «Ancora una volta e con tanta tristezza sento l’urgenza di evocare la drammatica situazione in Myanmar, dove tante persone, soprattutto giovani, stanno perdendo la vita per offrire speranza al loro Paese. Anch’io mi inginocchio sulle strade del Myanmar e dico: cessi la violenza! Anch’io stendo le mie braccia e dico: prevalga il dialogo! Il sangue non risolve niente. Prevalga il dialogo».
fonte: L’Osservatore Romano
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