Arriva anche l’allargamento del contratto di espansione abbassando la soglia a 100 dipendenti per accedere allo scivolo di 5 anni verso la pensione, con l’ok del Consiglio dei ministri al decreto Sostegni bis. Una misura che ha incontrato anche il giudizio positivo di Confindustria che però punta ancora più in alto. «Il contratto di espansione dovrebbe essere universale, per tutti» dice Bonomi. Ma vediamo come funziona.
Il meccanismo
Si tratta di una delle misure considerate centrali per affrontare la fine del blocco dei licenziamenti e prevede la possibilità per le imprese da 100 dipendenti in su, di anticipare l’uscita per quei dipendenti a cui mancano fino a 5 anni per maturare i requisiti della pensione. Un meccanismo aperto finora soltanto alle imprese con oltre 250 dipendenti. Il meccanismo funziona così: il rapporto tra il dipendente e l’azienda viene risolto e al lavoratore viene corrisposta una somma (chiamata indennità di accompagnamento alla pensione), fino al maturamento dei requisiti per lasciare il lavoro. Se, per esempio, il lavoratore ha 62, avrà questa indennità per 13 mesi all’anno fino al compimento dei 67 anni. La cifra percepita è simile alla pensione maturata dal lavoratore. Un passo avanti per i sindacati che considerano «un passo avanti» il pacchetto lavoro ma chiedono che il blocco dei licenziamenti sia esteso fino a fine ottobre. A preoccupare i lavoratori sono le stime di Bankitalia che stima una perdita fino 570mila posti di lavoro con l’uscita dal blocco dei licenziamenti.
Il costo
A pagare questa pensione di transizione è direttamente l’Inps. Ma a fornire la provvista, ossia i soldi per versarla, è l’azienda di provenienza del lavoratore. Che deve versare mensilmente delle risorse all’Inps garantita da una fideiussione. Qual è il vantaggio per l’impresa? Dalla cifra versata al lavoratore, viene sottratto quanto spetterebbe allo stesso dipendente come Naspi in caso di perdita del posto di lavoro. Così, per fare un esempio, un lavoratore che guadagna 36 mila euro l’anno, all’azienda costerebbe circa 260 mila euro fino alla pensione, mentre in questo modo ne spenderebbe intorno ai 100 mila. Ma c’è un vantaggio anche per il lavoratore, perché la legge non vieta di trovare un altro lavoro. Gli stessi sindacati ricordano le loro proposte: una flessibilità in uscita più diffusa a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età, che tenga conto della diversa gravosità dei lavori, del lavoro di cura e delle donne, e affrontare subito il tema delle future pensioni dei giovani, che rischiano di essere penalizzate dalla discontinuità del lavoro.
fonte: Il Messaggero
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