Pensioni, la Manovra peggiora la legge Fornero: ecco le nuove regole per l’uscita anticipata

L'importo della quattordicesima era indicato come aumento delle pensioni minime 2023

Più difficile lasciare il lavoro prima

di Massimiliano Jattoni Dall’Asén 

Niente di nuovo sul fronte delle pensioni, rispetto a quanto il Corriere ha raccontato in questi mesi. La nuova legge di Bilancio, dopo il sì definitivo della Camera arrivato la sera del 29 dicembre, conferma la linea tracciata da tempo dal governo Meloni: per gli italiani sarà più difficile andare in pensione anticipata nel 2024. Secondo le proiezioni contenute nella Nota di aggiornamento al Def, la spesa per la previdenza aumenterà da circa il 16% del Pil al 17,2% nel 2035.

Gli scenari reali sono dunque molto più preoccupanti di quelli che venivano descritti durante la campagna elettorale, quando i partiti ora al governo promettevano la cancellazione della legge Fornero e un abbassamento dell’età pensionabile. Dopo questo bagno di realtà, il governo è dunque corso ai ripari prorogando sì Quota 103, Ape sociale e Opzione, ma con requisiti decisamente più severi.

I paletti inseriti trasformano in una gimcana tra nuovi ostacoli il percorso per lasciare il lavoro prima di aver raggiunto i requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni e 20 di contributi, come previsto dalle legge Fornero che, nonostante le promesse, dal prossimo anno torna a pieno regime).

Confermata anche la penalizzazione per i medici che escono prima dalla professione, mentre non vengono toccare le pensioni di vecchiaia. Parallelamente, per l’uscita anticipata dal lavoro al compimento dei 64 anni (con 20 di contributi), si inasprisce la “soglia obbligatoria” da maturare per beneficiare dell’assegno. Intanto, dal 1° gennaio 2024 scatta la rivalutazione degli assegni (ma per tutti allo stesso modo). Vediamo allora più nel dettaglio come si potrà andare in pensioni nel 2024 dopo il sì definitivo alla Manovra.

La pensione anticipata

Partiamo dalla pensione anticipata. Anche nel 2024 sarà possibile uscire dal mondo del lavoro a 64 anni di età e 20 anni di contributi. Ma questi requisiti non bastano più. Il governo ha infatti deciso che per accedere al nuovo sistema, l’assegno previdenziale dovrà raggiungere una quota pari ad almeno tre volte l’importo dell’assegno sociale (per le donne con un figlio la soglia scende a 2,8 volte, mentre per quelle che hanno da 2 a più figli si abbassa a 2,6 volte). Non è finita qui: è stato fissato anche un tetto massimo oltre il quale l’assegno previdenziale non può andare, indipendentemente da quanto versato: cinque volte il minimo Inps.

La pace contributiva

Per i lavoratori che rientrano nel sistema contributivo viene rispolverata la «pace contributiva». Nata con la riforma del marzo 2019 (il noto “Decretone”, che introdusse anche Quota 100 e Reddito di Cittadinanza), e rimasta valida solo fino al 2021, ora la pace contributiva rivede la luce per il biennio 2024-2025 e consente di coprire periodi di aspettativa e/o inoccupazione, ma anche i mesi trascorsi tra un lavoro e un altro o i periodi di studio non riscattabili attraverso il «riscatto di laurea». Tutto questo, fino a un massimo di 5 anni (non necessariamente continuativi). Il periodo che sarà possibile coprire grazie alla pace contributiva è quello compreso tra il 1° gennaio 1996 e il 31 dicembre 2023.

Quota 103: confermata ma col metodo contributivo

Quota 103, misura introdotta per il 2023, in sostituzione di Quota 102, dal governo Draghi, è diventata il cavallo di battaglia della Lega, che ha fatto fuoco e fiamme per impedire al governo Meloni di introdurre Quota 104, ma ha dovuto ingoiare un peggioramento dei requisiti. Nel 2024, infatti, sono confermati i requisiti di accesso (62 anni di età e 41 di contributi), ma l’assegno verrà ricalcolato tutto con il metodo contributivo, anche per la parte di anzianità che fino a fine anno resta calcolata con il metodo retributivo. Viene inoltre introdotto un tetto massimo dell’assegno, fissato a circa 2.500 euro mensili. Il ricalcolo, per la maggior parte dei pensionati, comporterà dunque un taglio dell’assegno rispetto a quanto era stato previsto da Draghi. Infine, cambiano vengono inasprite anche le cosiddette “finestre mobili” per l’uscita, che – una volta raggiunti i contributi necessari – passano dagli attuali 3 mesi a 7 per i lavoratori privati e dagli attuali 6 mesi a 9 per quelli pubblici.
Infine, chi opta per Quota 103 non potrà lavorare e quindi non potrà cumulare redditi da lavoro con quelli da pensione fino al raggiungimento dei 67 anni di età.

Opzione donna: aumenta il requisito anagrafico

Come detto, anche Ape sociale e Opzione donna vengono confermate per il 2024, ma nuovamente con paletti che riducono la platea dei possibili beneficiari. Introdotta sperimentalmente nel 2004, Opzione donna prevedeva la possibilità di pensionamento anticipato per le lavoratrici con 35 anni di contributi e 57 anni di età (58 per le autonome), Meloni aveva voluto inasprire i requisiti già con la legge per il 2023. Dal 2024 potranno dunque accedervi, come per l’anno scorso, solo le lavoratrici:
a) licenziate o dipendenti in aziende con tavolo di crisi aperto presso il Ministero;
b) con disabilità pari o oltre il 74% con accertamento dello stato di invalido civile;
c) che assistono da almeno 6 mesi persone disabili conviventi, con disabilità grave in base alla legge 104 del 1992, di primo o secondo grado di parentela solo in quest’ultimo caso per ultra 70 enni.
Il requisito anagrafico, rispetto al 2023, passa da 60 a 61 anni d’età, sempre con 35 anni di contribuzione e si riduce di un anno per ogni figlio nel limite massimo di due anni (a 61 anni e non più 60 senza figli; 60 anni anziché 59 con un figlio e 59 anni anziché 58, con due o più figli.
Rimane:
1) il calcolo della pensione interamente con il metodo contributivo con una riduzione, a 61 anni di età, di circa il 18/20% applicando i coefficienti in vigore nel 2023;
2) le finestre mobili di 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.
In soldoni, una lavoratrice autonoma senza figli accederà a opzione donna a 62 anni e mezzo.
La pensione maturata con opzione donna è cumulabile con altri redditi da lavoro al pari di qualsiasi altra pensione.

Ape sociale: ci vogliono 5 mesi di anzianità in più

Per quanto riguarda l’Ape Sociale, la proroga al 31 dicembre 2024 porta con sé un peggioramento del requisito anagrafico: anziché gli attuali 63 anni si potrà accedere alla prestazione con 63 anni e cinque mesi.
Possono accedere a Ape social:
a) i lavoratori disoccupati con almeno 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni di contribuzione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale o dipendenti di aziende con tavolo di crisi aperto presso il Ministero e che hanno esaurito i periodi di disoccupazione, tipo Naspi;
b) le persone con 63 anni di età e 30 anni di contribuzione, con disabilità pari o oltre il 74% e riconosciuti invalidi civili;
c) i lavoratori con 63 anni di età e 30 anni di contribuzione che assistono da almeno 6 mesi persone disabili conviventi, con disabilità grave in base alla legge 104 del 1992, siano di primo o secondo grado di parentela (solo per over 70);
d) lavoratori dipendenti che svolgono mansioni cosiddette “gravose” con almeno 63 anni di età e 36 anni di contribuzione e che al momento della domanda di accesso all’Ape sociale, abbiano svolto una o più delle professioni contenute nell’Allegato n. 3 alla legge n. 234/2021 per almeno sei anni negli ultimi sette oppure per almeno sette anni negli ultimi dieci; non è stato fatto il preannunciato ampliamento delle categorie di lavoratori gravosi riconosciute dalla legge n. 234/2021.
Per il 2024 è inserita, oggi assente, l’incumulabilità totale della prestazione con i redditi da lavoro dipendente o autonomo ad eccezione del lavoro occasionale entro un massimo di 5.000 euro annui. L’assegno è sempre calcolato col sistema misto ma con le limitazioni dell’importo massimo a 1.500 euro lorde mensili, senza tredicesima e senza gli adeguamenti dovuti all’inflazione fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia a 67 anni.

Le pensioni dei medici e degli insegnanti

Nonostante gli scioperi e le aspre polemiche, se da una parte le pensioni dei medici non saranno toccate nel caso di quelle di vecchiaia, dall’altra il governo Meloni ha deciso di “punire” chi dovesse lasciare il lavoro in anticipo nel 2024 (questo riguarda anche altri dipendenti pubblici, come gli insegnanti e i dipendenti degli uffici giudiziari): per loro, infatti, scatterà il taglio dell’assegno, che sarà ridotto “in misura pari a un trentaseiesimo per ogni mese di posticipo dell’accesso al pensionamento rispetto alla prima decorrenza utile per gli iscritti alla cassa per la pensione dei sanitari e per quelli alla cassa per le pensioni dei dipendenti degli enti locali che cessano l’ultimo rapporto di lavoro da infermieri”. Questo per assicurare “un efficace assolvimento dei compiti primari di tutela della salute e di garantire l’erogazione dei livelli assistenziali di assistenza”. Per medici e infermieri però la decurtazione sarà più soft e diminuirà man mano che si ritarderà l’anticipo del pensionamento.

La rivalutazione delle pensione nel 2024

Anche nel 2024 le pensioni saranno rivalutate tenendo conto dell’impatto dell’inflazione, ovvero adeguate al costo della vita. Per il prossimo anno l’aumento previsto è del 5,4%, ma questo non verrà applicato allo stesso modo per tutti. L’indicizzazione sarà piena solo per gli assegni che a dicembre 2023 non superano i 2.272 euro lordi mensili (quattro volte il trattamento minimo Inps, pari a 567,94 euro). Per gli altri assegni la percentuale gradualmente scenderà:
* 4,6% per gli assegni fra 4 e 5 volte il minimo;
* 2,9% per gli assegni tra 5 e 6 volte il minimo;
* 2,5%per gli assegni tra 6 e 8 volte il minimo;
* 2% per gli assegni fino a 10 volte il minimo;
* 1,2% per le pensioni oltre 10 volte la minima.

 

 

 

 

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