Nella lettera ai fedeli per la Quaresima p. Ibrahim ricorda le sofferenze di 10 anni di guerra, acuite dalla pandemia da Covid-19. I genitori non hanno soldi per sfamare i figli, disoccupazione e inflazione sono in aumento. Crescono i suicidi di padri disperati. Dalla Chiesa interventi di “prima emergenza”. L’esempio del padre di Gesù, che “non è fuggito davanti all’ignoto”.
Aleppo (AsiaNews) – Al tempo del coronavirus, che “continua a diffondersi” e “alza barriere” impedendo “la visita personale a ciascuno di voi”, i frati francescani guardano “a san Giuseppe, come esempio di cura pastorale” del prossimo in difficoltà. È quanto scrive p. Ibrahim Alsabagh, 47enne francescano, guardiano e sacerdote della parrocchia latina di Aleppo, nella lettera per la Quaresima indirizzata alla comunità cristiana. Nella missiva, inviata ad AsiaNews, il parroco vuole tradurre in atto pratico le parole di papa Francesco che invita a prendersi cura del prossimo, trovando ispirazione nella lettera apostolica Patris Corde per i 150 anni della dichiarazione di s. Giuseppe patrono della Chiesa universale. La nostra, afferma il sacerdote, è una “realtà crudele” permeata da 10 anni di “sofferenze” causate da un conflitto che ha portato a diverse mancanze: di cibo, igiene, forniture mediche, petrolio, gas ed elettricità.
Queste privazioni, acuite dalla pandemia, rischiano “di perdurare per chissà quanti altri anni”. I padri, prosegue p. Ibrahim, “non sanno come procurarsi il denaro per sfamare i figli. Si trovano di fronte a disoccupazione, prezzi in aumento, inflazione, un costo della vita sempre più elevato e il crollo dei redditi. Non è per motivi banali che molte delle nostre donne sono cadute in depressione e soffrono di attacchi di cuore. E molti padri hanno commesso il suicidio, in preda alla disperazione”.
Per non parlare, aggiunge, della “crisi che ha colpito molti giovani” la cui infanzia “era già stata rubata dalla guerra”. Un problema educativo, con le scuole in rovina e le famiglie che non riescono a far studiare i propri figli, e che “spesso non hanno nemmeno i vestiti o le scarpe per mandarli in classe” quando c’è lezione. “Una mamma che definiremmo fortunata, perché ha ancora oggi un impiego remunerato – scrive p. Ibrahim – mi ha detto che dopo aver ricevuto lo stipendio è andata a comprare un paio di scarpe nuove per la figlia. Le uniche, non le andavano più bene. Ma il prezzo era i tre quarti del suo salario mensile, per questo è tornata a casa a mani vuote”.
In quella che un tempo era la metropoli economica e commerciale della Siria quest’anno la situazione appare critica, più per la fame e la mancanza di lavoro – come nel resto del Paese – che per la paura di contrarre il Covid-19. Come denunciato da personalità della Chiesa siriana, fra cui il vicario apostolico di Aleppo e l’arcivescovo maronita di Damasco, alle misure punitive ordinarie si è aggiunto anche il Caesar Act, che colpisce la popolazione assieme all’inflazione. Una situazione che dà ancora più valore alla solidarietà di papa Francesco, con i suoi appelli per la pace.
“Come san Giuseppe, che non è mai stato un uomo passivo o remissivo – scrive p. Ibrahim – ma coraggioso e dedito alla propria missione, anche noi dobbiamo accettare la vita in quanto tale, anche questo passaggio assai difficile per la nostra esistenza. Come Chiesa siriana, e in special modo qui ad Aleppo, sentiamo appieno la fiducia che Dio ha riposto in noi”. Per cercare di alleviare le sofferenze e venire incontro alle necessità, prosegue il sacerdote, la Chiesa fa il possibile: “Non più aiuti generici, ma ‘interventi di prima emergenza’. Cerchiamo di soddisfare i bisogni di base che coprono tutte le età”. Si tratta soprattutto di fornire “latte e pannolini per bambini, cibo e medicine, pagare materiale scolastico e aiutare i più giovani col doposcuola. Distribuire poi vestiti e gasolio alle famiglie, assistere anziani, malati e disabili; restaurare case fatiscenti e sostenere progetti microeconomici”.
Interventi che non si limitano “al sostegno materiale”, ma includono anche “l’accompagnamento spirituale”, perché i cristiani oggi “hanno bisogno di molta speranza”. “Ringraziamo san Giuseppe – conclude p. Ibrahim – per il suo esempio di vita. Egli ha saputo assumersi la responsabilità di prendersi cura della sua famiglia, senza fuggire davanti all’ignoto, anche nelle difficoltà, fino alla resa completa al sacrificio ultimo”.
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