Perché nella solitudine il coronavirus uccide di più
Pubblichiamo il testo del messaggio — resto noto il 7 aprile — che il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ha dedicato agli anziani di tutto il mondo che stanno pagando il prezzo più alto della pandemia da covid-19.
Care sorelle e cari fratelli,
nel cuore di questa «tempesta inaspettata e furiosa ci siamo resi conto — come ci ha ricordato Papa Francesco — di trovarci sulla stessa barca». Al suo interno ci sono anche gli anziani. Come tutti, sono fragili e disorientati. A loro va oggi il nostro pensiero preoccupato e grato, per restituire almeno un po’ di quella tenerezza con la quale ciascuno di noi è stato accompagnato nella vita e perché giunga a ciascuno di essi la carezza materna della Chiesa.
La loro generazione, in questi giorni — difficili per tutti — sta pagando il prezzo più alto alla pandemia di covid-19. Le statistiche ci dicono che in Italia più dell’80 per cento delle persone che hanno perso la vita aveva più di 70 anni.
Poche settimane fa, Papa Francesco ha affermato che «la solitudine può essere una malattia, ma con la carità, la vicinanza e il conforto spirituale possiamo guarirla». Queste parole aiutano a comprendere che, se è vero che il coronavirus è più letale quando incontra un corpo debilitato, in molti casi la patologia pregressa è la solitudine. Non è un caso che stiamo assistendo alla morte, in proporzioni e modalità terribili, di tante persone che vivono lontane dal proprio nucleo familiare, in condizioni di solitudine davvero debilitanti e sconfortanti.
Per questo è importante che facciamo tutto quanto è possibile per rimediare a questa condizione di abbandono. Ciò, nelle circostanze attuali, potrebbe significare salvare delle vite umane.
In questi giorni sono tante le iniziative in tal senso che la Chiesa sta mettendo in campo a favore degli anziani. L’impossibilità di continuare a compiere visite domiciliari ha spinto a trovare forme nuove e creative di presenza. Chiamate, messaggi video o vocali o, più tradizionalmente, lettere indirizzate a chi è solo. Spesso le parrocchie sono impegnate nella consegna di cibo e medicinali a chi è costretto a non uscire di casa. Quasi ovunque, i sacerdoti continuano a visitare le case per dispensare i sacramenti. Molti volontari, soprattutto giovani, si stanno impegnando con generosità per non interrompere — o per iniziare a tessere — fondamentali reti di solidarietà.
Ma la gravità del momento chiama tutti noi a fare di più. Come singoli e come Chiese locali, possiamo fare molto per gli anziani: pregare per loro, curare la malattia della solitudine, attivare reti di solidarietà e molto altro. Di fronte allo scenario di una generazione colpita in maniera così pesante, abbiamo una responsabilità comune, che nasce dalla consapevolezza del valore inestimabile di ogni vita umana e dalla gratitudine verso i nostri padri e i nostri nonni. Dobbiamo dedicare nuove energie per difenderli da questa tempesta, così come ognuno di noi è stato protetto e accudito nelle piccole e grandi tormente della propria vita. Non lasciamo soli gli anziani, perché nella solitudine il coronavirus uccide di più.
Una particolare attenzione meritano coloro che vivono all’interno delle strutture residenziali: ascoltiamo ogni giorno notizie terribili sulle loro condizioni e sono già migliaia le persone che vi hanno perso la vita. La concentrazione nello stesso luogo di così tante persone fragili e la difficoltà di reperire i dispositivi di protezione hanno creato situazioni difficilissime da gestire nonostante l’abnegazione e, in alcuni casi, il sacrificio del personale dedito all’assistenza. In altre circostanze, tuttavia, la crisi attuale è figlia di un abbandono assistenziale e terapeutico che viene da lontano. Pur nella complessità della situazione che viviamo, è necessario chiarire che salvare la vita delle persone anziane che vivono all’interno di strutture residenziali o che sono sole o malate, è una priorità tanto quanto salvare qualunque altra persona. Nei Paesi nei quali la pandemia ha ancora dimensioni limitate è ancora possibile prendere delle misure preventive per proteggerli, in quelli dove la situazione è più drammatica è necessario attivarsi per trovare soluzioni emergenziali. Ne va del futuro delle nostre comunità ecclesiali e delle nostre società poiché, come ha detto di recente Papa Francesco, «gli anziani sono il presente e il domani della Chiesa».
Nella sofferenza di questi giorni, siamo chiamati a scorgere il futuro. Nell’amore di tanti figli e nipoti e nella premura degli assistenti e dei volontari rivive la compassione delle donne che si recano al sepolcro per prendersi cura del corpo di Gesù. Come loro, siamo spaventati e, come loro, sappiamo che non possiamo fare a meno di vivere — pur mantenendo le distanze — la compassione che Lui ci ha insegnato. Come loro, presto comprenderemo che sarà stato necessario rimanere accanto, anche quando sembrava pericoloso o inutile, certi delle parole dell’angelo, che ci invita a non avere paura.
Uniamoci dunque in preghiera per i nonni e gli anziani di tutto il mondo. Stringiamoci intorno a loro, con il pensiero e con il cuore e, laddove possibile, agiamo, perché non siano soli.
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