No alla maternità surrogata, ma i figli nati all’estero da questa pratica vanno protetti come quelli concepiti oltrefrontiera con eterologa. Dalla Corte Costituzionale due verdetti che fanno discutere
Il diritto a essere riconosciuto come figlio di chi l’ha voluto deve sempre essere garantito al minore, anche se è stato concepito all’estero con la maternità surrogata o con la fecondazione eterologa tra coppie formate da persone dello stesso sesso. La Corte Costituzionale aveva delineato questo principio a gennaio, anticipando con un comunicato stampa il dispositivo di due sentenze gemelle. Nella mattinata di oggi sono state pubblicate le pronunce integrali, di nuovo accompagnate da una nota esplicativa.
La Consulta, si legge nella pronuncia 33 – relativo al caso di due uomini e di una surrogazione di maternità – «ha innanzitutto ribadito il divieto, penalmente sanzionato», di ricorrere all’utero in affitto, divieto che «risponde a una logica di tutela della dignità della donna e mira anche a evitare i rischi di sfruttamento di chi è particolarmente vulnerabile perché vive in situazioni sociali ed economiche disagiate».
Da qui, ha invitato a «disincentivare» questo fenomeno, sottolineando come anche «la stessa Corte europea dei diritti dell’uomo non imponga l’automatico riconoscimento di eventuali provvedimenti giudiziari stranieri di riconoscimento della doppia genitorialità ai componenti della coppia (eterosessuale od omosessuale) che abbia fatto ricorso all’estero alla maternità surrogata».
Purtuttavia, prosegue la Consulta, «occorrerà assicurare la tutela degli interessi del bambino al riconoscimento del suo rapporto giuridico anche con il genitore “intenzionale” attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza di filiazione tra adottante e adottato».
Una necessità, per la Corte, che non può essere evasa dall’«adozione in casi particolari», come era avvenuto negli ultimi anni. Tale istituto giuridico, infatti, «non attribuisce la genitorialità all’adottante», e non è chiaro – prosegue la Corte – se esso «istituisca rapporti di parentela tra l’adottato e coloro che quest’ultimo percepisce socialmente come i propri nonni, zii, o addirittura fratelli e sorelle».
Il caso vagliato dalla Consulta riguardava un bimbo nato in Canada da una gestazione per altri commissionata da una coppia maschile sposatasi secondo la legge di quel Paese, e riconosciuta in Italia come unitasi civilmente. Sotto la lente dei giudici, c’era la legittimità o meno del rifiuto, opposto dal Comune italiano in cui risiedono i due, di riconoscere il provvedimento estero in cui figuravano entrambi genitori.
Un problema simile a quello affrontato nella sentenza 32, diffusa pochi minuti prima, che ha invece riguardato due bimbe nate da una coppia femminile attraverso la fecondazione eterologa sempre all’estero (in Italia l’eterologa è lecita solo tra coppie formate da persone di sesso diverso).
La relazione tra le due si era però interrotta quando le piccole avevano 7 anni, e la madre da cui erano state generate aveva negato alla sua ex partner di poterle vedere. Di qui la lite giudiziaria, prima al tribunale di Padova e poi in Corte Costituzionale.
Con le due sentenze depositate ieri, in ogni caso, la Consulta non si è spinta a modificare le leggi vigenti (tecnicamente, le questioni sono state dichiarate entrambe «inammissibili»), ma ha rivolto un chiaro e perentorio monito al legislatore parlando di «grave vuoto di tutela dell’interesse del minore» (sentenza 32) e di «indifferibile intervento del legislatore (33).
Perché tuttavia quanto afferma la Corte non sia strumentalizzato serve una sua applicazione attenta e integrale. A partire dal rafforzamento delle norme che vietano la maternità surrogata, intervenendo a chiudere – per esempio – il varco d’impunità per chi “ordina” un bimbo all’estero con il dichiarato fine di eludere i divieti italiani.
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