Il presidente del Senato ricorda l’amico «Pinuccio» a 25 anni dalla morte. E torna anche sul tema dell’autonomia differenziata: «Sarà uno stimolo per il Sud e farà da pungolo per tanta classe dirigente indolente»
di Michele Cozzi
L’8 febbraio del 1999, 25 anni fa, ci lasciava Giuseppe Tatarella. Leader storico della destra, più volte parlamentare, europarlamentare e poi vicepresidente del Consiglio nel primo governo Berlusconi, ministro, tra i protagonisti della svolta che condusse alla nascita di Alleanza Nazionale. E, poi, ideale fondatore del partito di Fratelli d’Italia, nato nel 2012 grazie a La Russa, Crosetto e Meloni.
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, nel colloquio con il Corriere, fa il punto sul ruolo svolto da “Pinuccio” nell’evoluzione della destra italiana e nel processo di modernizzazione del sistema politico.
Presidente, 25 anni senza Tatarella. Qual è il suo ricordo?
«Prima dei rapporti politici, ricordo la nostra amicizia che non vuol dire essere sempre d’accordo. Tatarella era chiamato l’uomo dell’armonia, ma quando qualcosa non gli andava erano dolori. Però le nostre litigate duravano dieci minuti. La nostra era una sana e profonda amicizia. E quando penso a Pinuccio, innanzitutto penso a un amico, e poi al genio della politica. Lo ricorderemo il giorno 7 febbraio in Senato, nella manifestazione promossa da Fondazione An, Secolo d’Italia e Fondazione Tatarella. Ci sarà il Presidente della Repubblica, la cui presenza ci onora e che ringrazio anticipatamente».
Qual è il marchio che ha lasciato Tatarella nella politica italiana?
«Pinuccio Tatarella è stato il vero traghettatore di un partito che ai tempi era un partito nostalgico, non perché volesse ricostruire qualcosa del passato, ma perché all’80% era un partito di testimonianza. Con Pinuccio, invece, si avvia il salto verso un partito europeo, democratico. Ciò che è diventato prima con An e poi con FdI, era già stato prima nella mente di Tatarella».
Qual era la politica di oltre il Polo?
«Aveva capito che solo unendo le componenti del centrodestra del Polo si poteva sperare di battere la sinistra. E quindi, dopo la caduta del governo Berlusconi, comprendeva che occorreva superare le ristrettezze di una alleanza che non era sufficiente».
Il “che fai mi cacci?”, gridato da Fini contro Berlusconi, rappresentò una svolta. Con Tatarella forse quello strappo non ci sarebbe stato?
«Mi sono sempre interrogato su cosa sarebbe successo. Pinuccio nella fase finale della sua vita aveva capito che il problema Berlusconi-Fini si sarebbe presentato, tanto che ci aveva detto: “Quasi-quasi mi candido alla presidenza della Regione Puglia”. Forse con la consapevolezza che non potesse essere lui ad impedire quella collisione».
Non sono mancati da sinistra – a iniziare da Violante – il riconoscimento, pur in una ferrea contrapposizione, dell’azione politica di Tatarella. Forse è la strada da intraprendere da ambo le parti, per considerare gli “altri” avversari e non nemici?
«A questo processo la figura di Tatarella credo che abbia contribuito molto. Da allora, però, credo purtroppo siano stati fatti passi indietro e che questo sia dipeso soprattutto dall’avanzata della destra. La sinistra poteva anche accettare di considerare gli altri degli avversari e non dei nemici ma quando ha visto intaccare la sua egemonia, con l’arrivo di Meloni, c’è stato un passo indietro».
Ma era accaduto già con Berlusconi?
«Senz’altro ma direi che con la Meloni ancor più che con Berlusconi».
Quindi la situazione nella normalizzazione dei rapporti è peggiorata?
«Si, basti pensare che ancora oggi la sinistra parla quanto più del passato che del futuro. Paradossalmente se ne parlava di meno all’epoca del Msi…tanto era in un ghetto».
Per la sinistra il tema dell’antifascismo ha rappresentato un assegno da portare sistematicamente in scadenza?
«È sempre stato così ma più che affievolirsi, il successo elettorale prima del centrodestra e poi della destra ha acuito questo contrasto. Così ai motivi culturali si è aggiunta la paura di perdere l’egemonia».
Un Paese più incattivito?
«Da presidente del Senato ho detto che mi piacerebbe che in questi anni si riuscisse fare un passo in avanti verso la pacificazione. E forse, per questa dichiarazione, mi sono tirato addosso più critiche di quanto immaginassi».
Il Sud è impaurito per gli effetti che potrebbe avere l’autonomia differenziata. Quale messaggio vuole inviare ai meridionali?
«Da uomo del Sud posso capire le paure, ma credo che l’autonomia se mediata da un potere centrale forte come quello che può venire con il premierato può mettere al sicuro l’unità, l’indipendenza e l’identità della nazione. In passato la Lega parlava di rompere l’Italia: ora questo rischio non c’è più. L’obiettivo del governo è di dare maggiore peso alle Regioni, a patto che ci sia la certezza dell’unita della nazione alla quale FdI non rinuncerà mai. E c’è anche un altro aspetto».
Quale?
«Chi si deve preoccupare di più di una maggiore autonomia è una certa parte della classe dirigente, anche del Nord, ma soprattutto del Sud che è stata per molto anni al di sotto delle aspettative. Si pensi alla quantità di fondi non utilizzata per l’incapacità di spesa. L’autonomia credo che sia uno stimolo alle classi dirigenti a fare meglio. Chi si deve preoccupare è chi era indolente. Quando vogliono le classi dirigenti meridionali sono all’altezza».
Autonomia più Pnrr possono rappresentare una svolta?
«Certo, se la classe dirigente sarà all’altezza possono diventare un volano importantissimo».
Sud vuol dire Mediterraneo. Si apre una nuova stagione?
«L’Italia è l’hub dell’Europa, punto di congiungimento con altre realtà extra-europee e anche il recente vertice italo-africano fortemente voluto da Giorgia Meloni ne è una dimostrazione».
Per chiudere torniamo a Tatarella e alla sua Puglia.
«Il cuore di Pinuccio non trascurava mai la Puglia. Mai. Ancora oggi ricordo un aneddoto che rende bene l’amore che provava per la sua terra. Eravamo a Bari con il primo governo Berlusconi per la Fiera del Levante. Tatarella disse a Berlusconi: tu hai la Fininvest, per me la Puglia è la mia Fininvest. Ecco, Pinuccio riusciva ad essere contemporaneamente interprete della sua identità politica e territoriale».
fonte: Corriere del Mezzogiorno
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