La portacontainer era rimasta immobilizzata per giorni nella sabbia bloccando il Canale di Suez: ora è ferma nella zona dei Laghi Amari in attesa di un accordo sui risarcimenti
Di Guido Olimpio
La Ever Given è prigioniera del Canale di Suez. Un gigante immobilizzato non più dalla sabbia ma da catene robuste: le leggi egiziane. Potrà tornare libera se verrà raggiunto un accordo sul risarcimento dei danni, stimati dall’Egitto in 916 milioni di dollari. Nel frattempo resta nella zona dei Laghi Amari, ampio bacino dell’autostrada marittima.
Sembra ieri il 23 marzo. La nave, proveniente dalla Malaysia e diretta a Rotterdam, di proprietà di una compagnia giapponese, si arena nella via d’acqua. Finisce di traverso, la prua «piantata» sulle sabbie della sponda. Un disastro causato da condizioni meteo sfavorevoli – un forte vento – insieme ad un possibile errore umano. Nessuno passa: oltre 400 tra mercantili, petroliere e «vascelli» da guerra restano in colonna come in un colossale ingorgo. I prodotti non arrivano, i clienti aspettano, cambiano le rotte, con i cargo costretti a circumnavigare l’Africa. Scatta l’operazione di salvataggio, all’inizio con i mezzi a disposizione, qualche rimorchiatore locale, una draga e una scavatrice. Poi arrivano mezzi più potenti. Per sei giorni è la «notizia». Inusuale, affascinante. Seguita anche sui social grazie a foto satellitari, siti interattivi. L’immagine del «ciclope intrappolato» va oltre l’incidente stesso: le navi troppo grandi, la fragilità dei commerci, la globalizzazione. Tutto e di più. Poi la svolta, con la «liberazione» il 29 marzo.
L’Egitto celebra il successo con toni enfatici, il presidente al Sisi, che per alcuni giorni è rimasto defilato (e imbarazzato), esce allo scoperto per rivendicare la vittoria, le autorità documentano con grande precisione il numero delle unità che hanno ripreso la loro marcia. C’è festa a Manshiyet al Rugola, il villaggio davanti a dove si è consumato lo show non voluto, un piccolo punto sul planisfero trasformato nel centro del mondo. E festa anche per Abdallah Abdelgawad, l’operaio che per giorni ha manovrato la scavatrice sulla riva. Salario mensile di 190 dollari, diventa uno dei protagonisti dell’avventura con account dedicati, video, battute, clip che lo fanno sorridere ed arrabbiare, ma che rappresentano il lato umano in una storia di macchine. Il governo egiziano pensa al dopo, nel caso dovesse ripetersi l’emergenza. Pronta una nuova super-draga, in costruzione 4 rimorchiatori da 250-300 tonnellate, altri cinque ordinati in Cina.
Una volta disincagliata, la Ever Given sale lentamente verso nord e scende nella gerarchia delle news. Ma la realtà è diversa, iniziano altri guai. L’Autorità del Canale (SCA) si rivolge al tribunale di Ismailia che ordina il sequestro della portacontainer. Gli egiziani vogliono essere ripagati per quanto hanno sofferto, nel conto della spesa indicano 300 milioni di bonus per il salvataggio e altrettanti per la «perdita di prestigio». Parte il negoziato, grande lavoro per gli avvocati. Intanto a bordo restano il capitano e 22 marinai di nazionalità indiana. Solo due sbarcano per motivi urgenti, legati a questioni familiari. Se vogliono – rassicura il Cairo – possono andarsene tutti con l’eccezione del comandante. Ma come fanno a lasciarla? Magari possono inviare un team a dare il cambio.
Qualcuno ricorda vicende di equipaggi in ostaggio per mesi, paventa prove di forza sulla loro teste. Una delegazione sindacale li visita, conferma che stanno bene, hanno scorte e Internet. Tornano gli interrogativi su come sia potuto accadere tutto ciò. Chi ha sbagliato? A bordo c’erano i piloti locali e i loro aiutanti. Attenzione, ribattono gli esperti, il loro ruolo spesso è di semplice presenza e l’ultima parola spetta al comandante. Gli egiziani insistono su questo punto, il proprietario della compagnia ribatte dando la colpa alla tempesta di sabbia. Osservatori indipendenti propendono per un insieme di cause. Le assicurazioni provano a patteggiare offrendo un pacchetto definito generoso.
Fonte: Corriere.it
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