Intervista testimonianza a Domenico Volpi, classe 1925, direttore del leggendario “Il Vittorioso” e de “la Giostra”

Cosimo Rodia con Domenico Volpi

  di Cosimo Rodia

ROMA | Avevo pensato ad un’intervista telefonica col Maestro Domenico Volpi; quando però gliel’ho proposto, mi ha replicato di andarlo a trovare a Roma, che avremmo gustato, anche, tortelloni con spinaci e ricotta, preparati dalla signora Brigida, accompagnati da un rosso dei Castelli.

Non me lo sono fatto ripetere; dopo pochi giorni l’ho raggiunto nella sua casa biblioteca, in Piazza Cardinal Ferrari. Dopo gli abbracci per una lontananza durata nove anni, entriamo in medias res, ed obbedisco all’uso del tu nelle domande, in nome della nostra decennale amicizia.

2-una-copertina-del-vittorioso-con-il-campione-gino-bartali

Domenico Volpi, classe 1925, direttore del leggendario “Il Vittorioso”, de “la Giostra” una rivista per l’infanzia, pubblicata dall’editrice AVE, cofondatore di “Pagine Giovani”, scrittore, filastrocchiere (come si definisce), giornalista e tant’altro ancora. Chi sei, allora?

R: «Molto del mio lavoro è stato dedicato ai problemi della comunicazione, sia essa quella vocale, sia quella scritta, com’anche quella nei diversi generi: fumetti, romanzi, filastrocche…, perché mi ero accorto che c’erano grosse lacune scolastiche in questo campo; è stato il mio cruccio sia nella direzione delle riviste, sia come scrittore, sia come giornalista dell’Osservatorio Romano, del Messaggero dei ragazzi, del Messaggero di S. Antonio, de l’Avvenire. Di comunicazione mi sono interessato, finanche, per l’Ente Nazionale Infortuni sul Lavoro con una decina di dischi 45 giri, che contenevano scenette da utilizzare con finalità pratico-educative; oltre, poi, ad una serie di percorsi didattici per le colonie estive».

Allora, in una giungla di tante sue iniziative culturali, di cosa vai particolarmente fiero?

R: «Sicuramente del decennio 1948-1958 in cui ho preso la guida de “Il Vittorioso”, un settimanale che ha raggiunto 150 mila copie. Una cambiale da pagare ogni sette giorni, distribuito dall’Azione Cattolica, dalle parrocchie, dalle edicole e per abbonamenti. Sono fiero, anche, di almeno due romanzi: “Una rosa bianca per Hans” (una storia delicata di giovani che lottano contro il nazismo) e “Ankur il sumero” che esalta la creatività umana artefice di sviluppo e progresso. Ma soprattutto sono fiero di ciò che molti ex giovani mi dicono, ovvero di essere stato un pilastro per le loro scelte di vita, quando dirigevo i campi estivi “grest”, lo testimoniano le lettere che continuo a conservare».

Senti Domenico, sei stato un intellettuale cattolico senza mai “odorare di cera”, aperto e dialogante; e hai operato nel periodo di Alberto Manzi e di Gianni Rodari. Sciorina alcuni ricordi, anche in virtù del fatto che il contraltare a Il Vittorioso voleva essere “Il Pioniere” guidato proprio da Rodari. Che ricordo hai? Ricordi qualche aneddoto?

R: «Mi imbarazza parlare di Rodari. Però il Vittorioso non era un contraltare de “Il Pioniere”, non poteva esserlo anche per un fatto quantitativo: Il Vittorioso aveva un numero di copie decuplicate rispetto al Pioniere.

Poi ricordo che la rivista LG Argomenti di Genova, mi chiese un confronto con Argilli; Rodari, in verità declinava queste cose, per quanto ricordo di averlo visto alla Fiera di Bologna, chinato davanti a un bambino, ostinato a fargli dire cacca, perché bisognava rompere le convenzioni!

Il confronto si fece a casa di Marcello Argilli (comunista sincero), e fu franco e amichevole; ricordo che il padrone di casa rimase sbalordito dalla bellezza del Vitt se confrontata alla relativa povertà del Pioniere (il contenuto di quel dialogo venne riportato su LG Argomenti che l’aveva promosso). Una bella testimonianza di onestà intellettuale, quella di Argilli, di un comunista sincero e lo dico anche con una punta di critica per Rodari, che ha cominciato a scrivere sulle pubblicazioni dell’Azione Cattolica di Milano, per trovarlo comunista, e non ho mai capito se il cambiamento avvenne per mera fede ideologica o altro».

Ci sono stati altri momenti di confronto con il Pioniere e coi suoi direttori?

R: «No. Il Vittorioso era ‘scomunicato’ dalla sinistra, sicché era boicottato in molte occasioni. Ad ogni modo “Il Pioniere” artisticamente era una povera cosa, dove si leggevano le poesiole di Rodari con gli ortaggi che erano personaggi. Insomma».

 Passiamo ad un altro bel personaggio, un tuo quasi coscritto: Alberto Manzi (1924)?

R: «Eravamo compagni di scuola. Ci ritrovammo a Milano a un premio di letteratura giovanile, quando Manzi fu premiato per il bel libro “Grogh, storia di un castoro”. Tra l’altro divenne un collaboratore de Il Vittorioso”. Restammo in contatto, seppur con qualche intermittenza, e siamo stati amici con le rispettive famiglie, condividendo le vacanze a Rimini. Ricordo di Manzi che era un grande capo scout, alla parrocchia vicino a piazza Bologna, sempre a Roma. Poi l’ho ritrovato comunista. Ricordo ancora, che la TV e la radio avevano una produzione per ragazzi e spesso abbiamo lavorato insieme, moltissimo. Poi, ho sempre pensato con qualche malignità, che la televisione faceva programmi inserendo un cattolico, un comunista e uno bravo».

Nella fattispecie, eri quello bravo o quello cattolico?

R: «No. Siccome io e Manzi, lui comunista, ma non militante, e io cattolico, eravamo bravi, il terzo poteva stare a casa. E in due abbiamo fatto un sacco di roba».

Su “Il Vittorioso” hanno iniziato a disegnare le prime strisce, alcuni leggendari vignettisti; ricordi qualche nome?

R: «I più grandi sono stati naturalmente Benito Jacovetti; poi, Gianni De Luca, un grande disegnatore passato dopo al Giornalino, che ha illustrato il Commissario Spada, ha prodotto tre tragedie di Shakespeare a fumetti e ha inventato una nuova tecnica, ovvero il rifiuto delle strisce, arrivando a disegnare Amleto mentre discorre dei suoi problemi, essere o non essere, a pagina intera. Sulla stessa linea troviamo i famosi paginoni di Jacovetti; non solo, non si possono dimenticare Nevio Zeccaro o Kurt Caesar. Penso in effetti che Il Vittorioso abbia anticipato le cose che succedono adesso. Proprio Caesar, ad esempio, era autore di splendide copertine; anzi fu proprio il primo a rompere gli schemi delle strisce, quando nel 1938 disegnò in centro pagina un biplano, lo CR32, con intorno la storia. Lavoro continuato poi da Jacovitti che stravolgeva le pagine per riempirle di verdure, alici, salami… Un’ironia esplosiva».

Ricordi qualche avvenimento, goliardico nel lavoro redazionale?

R: «Sì. Lanciammo un finto disco volante nel cielo di Roma. Il giorno dopo tutti parlarono di un avvistamento UFO. Ce la ridemmo. Ricordo, inoltre, che annualmente a Roma si teneva in via Margutta un’esposizione all’aperto. Per prendere in giro, decidemmo di mandare il nostro disegnatore più scarso, Carlo Peroni, diventato grande con il Corriere dei Piccoli. Questi fece un quadro surrealista e io lo presentai con una prefazione che scimmiottava totalmente il dire fumose di tanti illustri critici».

Hai preso in giro tutti gli intellettualoidi, se ne sono accorti?

R: «No. Un ultimo aneddoto che mi piace ricordare è quello legato alla mia fidanzata cui le dissi di venire in redazione; avevo avvisato i miei collaboratori, facendomi sfuggire che la mia futuro moglie aveva terrore dei ragni. Così Jacovitti disegnò enormi ragni neri sui vetri delle finestre. Poi, Giovannini e Landolfi (autore di Procopio e di tante altre cose) pensarono di ficcarsi uno nell’armadio, l’altro di aspettare a quattro zampe, che gli saltasse sulle spalle. Una redazione di pazzi! Quando arrivò la fidanzata, benché perplessa, non scappò e dopo quella prova, il matrimonio si celebrò».

Nel 1977 avete fondato “Pagine Giovani”, ci ricordi qualche nome con cui hai condiviso questo parto felice, la cui creatura è ancora viva, guidata ora dal prof. Angelo Nobile (ricevendo proprio quest’anno dall’anvur l’ambìto riconoscimento di rivista “scientifica”, sinonimo di qualità, e di cui tu conservi la presidenza onorario)? Qual era il vostro obiettivo e quali le difficoltà che avete trovato nel fondare la rivista?

R: «Nel 1977 Pagine Giovani era solo un mezzo di comunicazione modestissimo, con pochi fogli, fondato da me, Ruggero Y Quintavalle, Danilo Forina, Eugenio Martinez… Qual era il fine? Ricordo che autori di tendenza marxista giravano per le scuole per gli incontri con l’autore. Così abbiamo pensato che avremmo anche noi dovuto fare qualcosa, così si organizzò un gruppo di scrittori per programmare incontri coi ragazzi. Occorreva anche un collegamento, così facemmo una cosina di 16 pagine. È stato un tentativo di opporci all’ondata marxista nelle scuole e nell’università, senza comunque essere mai ortodossi».

Passiamo ai romanzi, ne hai scritto tanti. Io ho avuto l’onore di curare una nuova edizione, dopo quella della SEI, proprio de “Una rosa bianca per Hans”. Tra i tanti, quale ami di più e perché?

R: «Sicuramente “Una rosa bianca per Hans” e sento di aver fatto una cosa importante per il lettore anche con “Ankur il sumero” e con le tante favole e filastrocche».

Sei stato un testimone della letteratura giovanile degli ultimi settant’anni; rilevi delle trasformazioni nello scrivere per ragazzi? Noti dei cambiamenti nello stile della scrittura e nei contenuti proposti? Hai visto nascere collane importanti di libri per ragazzi che hanno caratterizzato la letteratura giovanile. Esprimi una tua impressione?

R: «Sulle collane, non so che dire; le collane hanno il difetto di mischiare cose bellissime a cose discrete, quindi sono un po’ come un giro di Francia, si va su e giù, su e giù, non si capisce perché quei libri stiano insieme».

Ritieni che la scrittura per ragazzi sia cambiata negli ultimi decenni?

R: «Certamente sul piano degli argomenti; c’è stata una ricerca dell’horror, una ricerca del macabro anche, una ricerca di tutto ciò che smuova i sentimenti, anche in senso negativo. È scomparso quasi il genere western; come anche lo scrittore che sta seduto a documentarsi prima di scrivere.

Il modo di scrivere è diventato meno letterario, diciamo, più scattante, più punti esclamativi, anche nelle parole vi è una ricerca delle emozioni e, d’altra parte, una ricerca dello stravagante o degli atteggiamenti fanciulleschi, contrari a quello che una volta era il bon ton».

Lo consideri positivo o negativo questo passaggio? Questa nuova modalità di scrittura, avvicina o allontana il lettore?

R: «Non lo so. Direi che l’unica ragione vera per cui potrebbe avvicinare il lettore è che i periodi sono brevi; la pazienza di leggere periodi lunghi non c’è più. I congiuntivi sono in crisi e il vocabolario si restringe. Quindi ci sono pro e contro»

Bisogna insistere, allora, sul libro per ragazzi? Una risposta, che valga come buon auspicio per coloro che s’interessano di letteratura, ovvero: educatori, editori, scrittori, genitori, docenti, studiosi.

R: «Bisogna insistere sul libro per ragazzi, accettando tutte le modificazioni che contengono parole. Parole, parole. Se io vedo una foto, vedo una parte di realtà. Se io racconto una storia, vedo la mia realtà, cioè quello che io immagino mentre qualcuno mi racconta, questo qualcuno è l’autore o (facendo un invito particolare) un genitore che comincia a leggere le fiabe ai propri piccoli, o un insegnante che riserva addirittura un giorno di lezione a leggere, a commentare, senza l’obbligo di insegnare (leggere per conquistare implicitamente nuove parole), ma per divertirsi, per vivere altre emozioni, per vivere il mondo delle emozioni, per vivere in altri luoghi, semmai immaginari (visto che oggi tutto il mondo è globale e quindi tutti conoscono tutto o credono di sapere, tutti hanno visto tutto, avendo magari visitato la Cina in tre giorni, tutti hanno un’apparenza della realtà, ma non sono mai andati a fondo di quella realtà).  Con i ragazzi mi diverto a fare un esperimento, che è questo. C’era una volta una montagna coperta da una foresta nera nera; nella foresta c’erano tre castelli e sulla torre di ogni castello c’era un fantasma. Chiuso il discorso. Domando ai ragazzi e trovo che ognuno ha visto la cosa a modo suo, mentre se fosse stata un film, una foto, tutti avrebbero visto la stessa cosa. Quindi, il leggere, a parte tutte le questioni scolastiche, è un modo per essere liberi, per avere una propria visione delle cose e immaginare liberamente. Per avere figli originali, dotati di idee proprie, non schiavi di bande o di compagnie poco buone, il leggere è un’apertura di finestra verso Altro. L’Altro può essere qualunque altra cosa che non le banalità della televisione o le situazioni pericolose di una banda di amici. Occorre quindi che il ‘miracolo’ della lettura sia supportato sistematicamente dai genitori, dalla scuola, dalle attività anche sportive e turistiche, dalla sensibilità personale e dall’importanza di dare a chi sa leggere o chi vuole leggere un grande rilievo, una forte evidenza, una specie di titolo di nobiltà». 

Maestro il tuo titolo di Nobiltà più che riconoscertelo dall’esterno, è nei fatti della tua vita spesa a sostenere il soggetto in formazione perché diventi uomo degno di considerazione.

R: «Grazie, grazie, grazie».

Be the first to comment on "Intervista testimonianza a Domenico Volpi, classe 1925, direttore del leggendario “Il Vittorioso” e de “la Giostra”"

Leave a comment