di Paolo Affatato
Fanno scudo con il loro corpo. A volte con le lacrime, a volte con le braccia aperte in segno di pace, o rivolte verso l’alto, in preghiera.
Non sono persone senza macchia e senza paura. Sono persone consapevoli che Dio realizza i suoi disegni «attraverso e nonostante la nostra debolezza», come dice Papa Francesco nella Patris corde.
Consacrati, sacerdoti ed alcuni vescovi del Myanmar in queste ore sono scesi in strada, in diverse città del Paese, con l’unico scopo di salvare giovani vite, mentre l’esercito birmano ha messo in atto un’ondata di repressione sempre più forte, diversi mass-media sono stati oscurati e si teme che, da un momento all’altro, la giunta possa indire un rigido coprifuoco per bloccare ogni forma di protesta.
In due città del Myanmar, Myitkyina e Loikaw, l’intervento tempestivo dei consacrati ha evitato una strage ma, nonostante tutto, due giovani sono stati uccisi, numerosi feriti e centinaia arrestati.
«Abbiamo paura che gli agenti di polizia uccidano i giovani manifestanti. La nostra presenza di persone di fede, operatrici di pace, può aiutare a farli desistere. Per questo siamo qui in strada», affermano le suore cattoliche di Myitkyina, città nel nord del Paese, capitale dello Stato Kachin, dove i cristiani sono circa il 30% della popolazione.
Qui, per sfuggire alle percosse e agli arresti, alcuni giovani manifestanti si sono rifugiati nel complesso della cattedrale cattolica di San Colombano, ma i militari hanno iniziato a sparare ai giovani disarmati: il tragico bilancio è due giovani uccisi e sette feriti dalle forze di sicurezza.
Il compound della cattedrale è stato circondato dall’esercito che, nelle ore successive ha arrestato 90 dimostranti. Nonostante la violenza in atto, davanti alla chiesa si sono radunate, in silenzio, persone di diverse comunità religiose vegliando e pregando per i due giovani che hanno perso la vita e per le loro famiglie.
Tra loro c’era il vescovo emerito della diocesi, monsignor Francis Daw Tang che ha spiegato come «in questa fase critica per il nostro Paese c’è bisogno del nostro contributo di pace, di misericordia, di perdono».
«È una Quaresima speciale, questa, per noi cristiani in Myanmar», aggiunge suor Ann Nu Tawng, la religiosa divenuta “icona di pace”, per aver fermato nei giorni scorsi, inginocchiandosi davanti a loro, i militari che avanzavano.
La suora ha ripetuto ieri quel suo accorato appello e alcuni soldati, di religione buddista, si sono inginocchiati accanto a lei, mostrando rispetto ed empatia verso la sua presenza e le sue parole di mitezza e compassione.
«È nostro compito predicare e testimoniare la scelta della non-violenza evangelica, la nostra missione è annunciare e vivere fino in fondo l’amore di Cristo, anche verso il nemico», ha detto, spiegando il suo tentativo di mediazione.
Un simile scenario si è ripetuto nella città di Loikaw, capitale dello Stato birmano del Kayah, dove la presenza cattolica è iniziata alla fine del 1800 con l’arrivo dei primi missionari del Pontificio istituto missioni estere (Pime) e dove oggi i fedeli sono il 90% della popolazione.
Centinaia di giovani manifestanti hanno marciato oggi, 9 marzo, sulla strada che lambisce la cattedrale cattolica di Cristo Re. Le forze di polizia hanno bloccato la carreggiata invasa dai manifestanti, preparandosi allo scontro.
A quel punto il sacerdote cattolico padre Celso Ba Shwe, amministratore diocesano di Loikaw, e un altro pastore protestante hanno rotto gli indugi e si sono frapposti tra i due schieramenti.
Il loro abito bianco spiccava davanti alle forze di polizia, mentre imploravano gli agenti di fermare l’avanzata e di non sparare sui dimostranti. «Li convinceremo a tornare a casa. Dateci un po’ di tempo. Non vogliamo che il sangue bagni la nostra terra», ha supplicato il sacerdote per prevenire gli scontri.
Dopo attimi di alta tensione, i militari hanno sparato colpi di avvertimento e lanciato granate assordanti per disperdere la folla. Per il momento, nessuna vittima.
fonte: L’Osservatore Romano
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