Le prime a escludere l’ipotesi sono le politiche tirate in ballo come “diversivi”. La vera incognita resta la scelta di Draghi
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I tempi, dicono, sono maturi. L’idea di una donna al Quirinale è però al momento solo un gioco di novembre. È la carta che stanno usando i partiti per non scoprirsi, per prendere tempo, per dire che sarebbe bello, certo, ma non risolve il problema su cui si stanno incartando. Che fare di Mario Draghi? È lì il nodo e nessuno ha ancora capito bene come si possa sciogliere. Qualcuno dice: peccato che Mario non sia una donna. Altri sussurrano: meno male che non lo è, altrimenti sarebbe difficile fermare il trasloco. I dubbi sulla sorte di Draghi non aiutano la campagna per portare una donna al Quirinale. Non si può d’altra parte dimenticare che neppure a Palazzo Chigi c’è mai stato un presidente donna. La realtà è che se ne parla tanto, ma se l’Italia non ha problemi a immaginare una Margaret Thatcher nostrana, i partiti lo sono un po’ meno. Il potere si prende e non ti arriva per cortesia.
Non ci sono candidate ufficiali, anche perché se rimbalza il tuo nome significa che ti stanno fregando. Lo si butta lì per consumarlo. Il Pd per esempio ne sta facendo circolare un paio. Si parla di Paola Severino, ministro della Giustizia con Monti e vice presidente della Luiss. Il suo nome è legato alle pene accessorie sui reati di corruzione e concussione: ineleggibilità, sospensione, decadenza e incandidabilità. È proprio uno dei temi cruciali dei referendum sulla giustizia. Ora immaginate il corto circuito con gli italiani che vanno a votare per l’abolizione di una serie di norme battezzate dal presidente della Repubblica. Non sarebbe una situazione comoda, per nessuno. L’altra ipotesi tira in ballo Anna Finocchiaro e non è la prima volta che si ritrova coinvolta. Nel 2012, prima del Napolitano bis, prese al primo turno sette voti. Non si è mai affannata per salire al Colle, magari meritava più spazio nel suo partito.
C’è il ritorno ciclico sulle possibilità dell’attuale Guardasigilli, Marta Cartabia. Tutti dicono che sarebbe perfetta, in continuità con il pensiero di Mattarella. È il nome che potrebbe piacere a chi già lavora al Quirinale. È troppo citata e lei giustamente a ogni domanda risponde un po’ alla Draghi: «Lavoro nel presente, per portare avanti riforme ambiziose». C’è chi riscopre Rosy Bindi, come feticcio anti berlusconiano a ritroso, ma lei se la vive come spettatrice: «Siccome so che non accadrà, non sono neanche accompagnata dalla preoccupazione e dai polsi che tremano solo all’idea di dover ricoprire una responsabilità così alta». Maria Elisabetta Casellati, prima donna a presiedere Palazzo Madama, non sta certo contando i voti del centrodestra. Non fa calcoli e preferisce raccontare le vicissitudini con il suo vicino. Per tenere lontane le tortore da casa sua ha piazzato una serie di finte bisce come spauracchio. Il risultato è che ha spaventato il suo dirimpettaio che ha chiesto di toglierle. «Ma non sono vere!». «Ah, le tolga lo stesso».
C’è chi ha provato a lanciare una campagna per Liliana Segre. Risposta: «No, grazie. Non è il mio mestiere». È più o meno la stessa risposta di Fabiola Gianotti, direttrice generale del Cern. La scienza non è tuttologia. È più facile vederla a Stoccolma per ritirare il Nobel. È che una candidatura seria non si improvvisa. Non basta dire «speriamo che sia femmina». Ci devi credere. È un progetto politico e al momento sono tutti impegnati a decifrare le mosse di Draghi.
fonte: il Giornale
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