Dopo l’atterraggio nella capitale indonesiana, Francesco si è diretto alla Nunziatura apostolica per incontrare un gruppo di 40 uomini, donne, anziani e bambini assistiti e accompagnati da suore domenicane, Jesuit Refugee Service e Comunità di Sant’Egidio. Il Pontefice ha salutato uno ad uno i presenti e ascoltato le storie di ognuno, tra loro anche una famiglia di profughi dello Sri Lanka e un rifugiato Rohingya. È l’unico appuntamento della prima giornata di viaggio di oggi, dedicata al riposo
Salvatore Cernuzio – Inviato a Jakarta
È iniziata nel segno degli orfani, degli anziani, dei poveri e dei rifugiati, incarnazione di quella “cultura dello scarto” da sempre denunciata, la visita di Papa Francesco in Indonesia. Atterrato all’aeroporto Soekarno-Hatta della capitale Jakarta – prima tappa del lungo viaggio apostolico che, fino al 13 settembre, lo vedrà pellegrino anche in Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore – il Papa si è diretto alla Nunziatura apostolica, grande edificio costruito negli anni ’60 che sorge nelle vicinanze di Merdeka Square, zona centrale della città, in mezzo alle tante strutture militari che ne puntellano le vie e le piazze.
I saluti della gente per strada
Per mezz’ora l’automobile bianca con a bordo il Pontefice, unica sfumatura di colore in una città avvolta da una coltre grigiastra, si è avventurata nel traffico, tra grattacieli, palazzoni ed edifici dalla tipica architettura giavanese del IX secolo, ai cui piedi è facile trovare baracche e casupole di legno affacciate lungo il fiume Ciliwung. I panni stesi, con un’umidità che tocca anche il picco del 92%, sono il segno che ci sia vita all’interno.
Dalle strade uomini, donne e bambini in t-shirt bianca al passaggio della vettura papale hanno sventolato bandiere con i colori dell’Indonesia e urlato “Selamat datang”, “benvenuto”. Varcata la soglia della Nunziatura, guidata dal nunzio Piero Pioppo, a salutare Papa Francesco, tutti seduti a cerchio nel salone, c’erano loro: orfani, anziani, poveri, rifugiati. Erano 40 in totale, accompagnati da chi li assiste quotidianamente e cerca di sopperire a mancanze e soddisfare bisogni: le suore domenicane, il Jesuit Refugee Service e la Comunità di Sant’Egidio.
Un “popolo variegato” in Nunziatura
In particolare la Comunità, attiva nel Paese asiatico dal 1991 per iniziativa di alcuni giovani laici della diocesi di Padang e ora ramificata in undici città, ha accompagnato in Nunziatura 20 ospiti: “Un popolo variegato”, spiegano a Radio Vaticana-Vatican News rappresentanti di Sant’Egidio presenti all’incontro, “poveri che vivono per strada che raccolgono la spazzatura e la riciclano. Non sono i clochard come li vediamo in Europa, ma intere famiglie che non hanno casa e vivono tra i rifiuti”.
Qui a Jakarta li chiamano in lingua locale “gli uomini dei carretti”, perché su questi mezzi di legno caricano la spazzatura raccolta nelle discariche e spesso lo stesso carretto è l’unica “casa” che hanno, dove vivere, mangiare e dormire. Sant’Egidio porta loro cibo e vestiti come fa in tutte le città del mondo. Alcune di queste persone hanno potuto stringere oggi la mano del Papa che ha fatto il giro di tutte le sedie, salutando uno ad uno i presenti e ascoltando brevemente la loro storia.
Rifugiati e sopravvissuti ai naufragi
Tra loro, accompagnati sempre da Sant’Egidio e da Erlip Vitarsa, primo diacono permanente dell’arcidiocesi di Jakarta, c’erano anche degli anziani degli istituti, dei poveri che vivono o lavorano nelle discariche e frequentano la mensa della Comunità, poi dei rifugiati della Somalia e una famiglia di profughi dello Sri Lanka, fuggiti dalle persecuzioni contro i tamil. Erano partiti mesi fa con un barcone per andare in Australia, ma l’imbarcazione si è rovesciata in mare. Vivi per miracolo, sono tornati indietro in Indonesia e, come tanti, sono in attesa di ricongiungersi con i parenti in Australia o anche in Canada. “Vivono un limbo, in un Paese che non li respinge ma che non ha l’adeguata legislazione e i mezzi per dar loro assistenza”.
Papa Francesco ha ascoltato la loro storia, riportata da James, e li ha benedetti, così come ha fatto con un profugo del Myanmar, uno dei numerosi Rohingya che subisce quelle brutalità tante volte stigmatizzate dal Papa, l’unico a dar voce nel dibattito pubblico a questa minoranza. Il Pontefice oggi ha posato la mano sul capo del ragazzo, portato in Nunziatura dal JRS, come segno di vicinanza e di attenzione.
L’affetto per i bambini
Abbracci e ancora abbracci Francesco li ha invece distribuiti ai tanti bambini presenti: sia gli orfani raccolti in villaggi e periferie urbane, sfamati e istruiti dalle domenicane, sia i bimbi delle Scuole della Pace (18 in tutto l’arcipelago che raccolgono oltre 3 mila bambini). Questi ultimi hanno donato il disegno del “mondo che vorrei”, l’immagine del globo retto da due braccia composte da tutte le bandiere, unite e vicine in segno di fraternità.
Tra baci, benedizioni sulle teste e sulle fronti, Rosari in regalo, il Papa ha trascorso proprio con i più piccoli buona parte di questo incontro, il primo e per oggi unico – dopo il lungo tragitto di 13 ore in aereo da Roma – appuntamento del viaggio nel Sud Est asiatico e in Oceania. Poi si è fermato a parlare in privato con una donna dell’Afghanistan, avvolta in uno chador, e ha scherzato con un anziano in sedia a rotelle: “Anche io!”. Ha dato infine la sua benedizione, dicendosi contento e commosso di aver avviato con un simile appuntamento il più lungo viaggio del suo pontificato.
FONTE: VATICAN NEWS
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