Come San Giuseppe anche noi, particolarmente in questo tempo difficile che stiamo attraversando, siamo continuamente spiazzati da una realtà che segue altre strade rispetto ai nostri desideri, ai nostri progetti, a ciò che vorremmo essere. E che, piuttosto, ci mette continuamente di fronte a cose che non avremmo scelto. Tutto ciò, insieme alla modernità e alla novità del linguaggio usato, spiega il fascino e l’interesse che ha suscitato la Lettera apostolica “Patris Corde”
di Mario Aldegani, superiore generale dei Giuseppini del Murialdo dal 2006 al 2018 e autore con Johnny Dotti del libro “Giuseppe siamo noi” (San Paolo)
La Lettera apostolica “Patris Corde”, con la quale Papa Francesco ha accompagnato l’annuncio dell’Anno di San Giuseppe, è stata accolta, mi pare, con una certa sorpresa, però ha suscitato un grande interesse.
Pochi si aspettavano, in questo momento, che il Papa dedicasse un “anno speciale” a San Giuseppe, anche se, da qualche anno, richieste in tal senso erano state presentate al santo Padre da gruppi, movimenti, istituti religiosi legati a questo santo.
Già all’inizio del suo pontificato, nella messa del 19 marzo 2013, il Papa aveva dedicato a San Giuseppe gran parte dell’omelia di inizio del suo ministero petrino e aveva parlato di Lui, mostrando soprattutto la grandezza della sua umanità, che lo rende vicino, molto vicino alla vita di tutti. In poche battute aveva svecchiato di molto la figura di San Giuseppe e aveva mostrato come nella sua vicenda di fede tutti possiamo in qualche modo riconoscerci.
La “Patris Corde” è lo sviluppo naturale di queste premesse. San Giuseppe ci viene presentato come “uno di noi”. Al termine della lettera, il Papa, concludendo la riflessione arriva a scrivere: “In un certo senso, siamo tutti sempre nella condizione di Giuseppe”.
Questo è il filo conduttore della lettera “Patris Corde”: avvicinare a noi, che viviamo in un tempo difficile, la figura di San Giuseppe, che ha incontrato nella sua vita tante difficoltà.
Significativo il fatto che nella “Patris Corde”, il Papa parla più spesso di “Giuseppe” che di “San Giuseppe”; lo stesso titolo evoca una dimensione umanissima della sua figura: che ha amato il Figlio che gli era stato dato in custodia con il cuore di un padre, facendogli sperimentare, con la sua tenerezza, la tenerezza di Dio.
Da qui il grande interesse che la lettera ha suscitato.
Il Papa ha tirato fuori San Giuseppe da una nicchia lontana – e forse anche dalla polvere dell’oblio in cui era stato relegato – e ce lo ha restituito come Giuseppe, uomo ricco di umanità e aperto al mistero di Dio.
Lo ha liberato dal luogo comune di essere ritenuto una figura scialba, sbiadita; una comparsa: il padre putativo, quasi disincarnato, del Dio incarnato. Un uomo senza voce, senza autorità, senza personalità, che non ha niente da dire a noi e alla nostra vita.
E ce lo ha presentato come veramente è: non sbiadito, ma vicino. Non etereo, ma concreto: uno di noi.
Come Lui anche noi, particolarmente in questo tempo difficile che stiamo attraversando, siamo continuamente spiazzati da una realtà che segue altre strade rispetto ai nostri desideri, ai nostri progetti, a ciò che vorremmo essere. E che, piuttosto, ci mette continuamente di fronte a cose che non avremmo scelto.
Tutto ciò, insieme alla modernità e alla novità del linguaggio usato, spiega il fascino e l’interesse che ha suscitato questo testo.
Una lettera umanissima, per avvicinarci un santo umanissimo, per farcelo sentire “uno di noi”.
Una riflessione a parte merita il capitoletto “Padre nell’ombra”, che illumina, passi il gioco di parole, il mistero della paternità di Giuseppe di Nazareth e di ogni paternità, non solo biologica. Il Giuseppe che ci presenta Papa Francesco nella “Patris Corde” parla a tutti. E parla ai padri, che oggi ne hanno tanto bisogno.
“Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. (…) la logica dell’amore è una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in una maniera straordinariamente libera. (…) La paternità che rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli spalanca sempre spazi all’inedito. Ogni figlio porta sempre con sé u mistero, un inedito che può essere rivelato solo con l’aiuto di un padre che rispetta la sua libertà”.
Giuseppe siamo noi, il suo cammino è il nostro cammino, il suo sogno è il nostro sogno.
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