Il premier aveva richiamato una delegazione inviata negli Usa per discutere della conquista di Rafah, ma poi l’ha autorizzata di nuovo. «Volevo lanciare un messaggio ad Hamas»
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ci ha ripensato. Furioso per la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza che da lunedì chiede il «cessate il fuoco» a Gaza, aveva richiamato una delegazione inviata in America per discutere il piano di conquista di Rafah. Ieri è tornato sulla decisione e ha autorizzato di nuovo l’incontro.
«Li ho richiamati per lanciare un messaggio ad Hamas — ha spiegato il premier —. Leggendo la risoluzione i terroristi avranno pensato che la pressione internazionale su Israele potesse fermare la guerra o la ricerca degli ostaggi. Volevo far capire loro che si sbagliano. Noi andremo avanti, anche da soli».
Gli Usa sono contrari ad un attacco massiccio su Rafah perché temono che il costo in termini di vite civili sarebbe inaccettabile per l’opinione pubblica mondiale. La città ha decuplicato gli abitanti, da 150 mila a forse 1,5 milioni, per l’afflusso degli sfollati da tutta la Striscia. Israele invece vuole replicare quel che ha fatto nelle altre città: circondare, bombardare, fare evacuare i civili, bombardare ancora, entrare con i carri armati e poi con pattuglie a piedi per trovare i tunnel dove si nascondono i miliziani di Hamas e dove potrebbero esserci gli ostaggi israeliani. Gli americani non sono d’accordo. Ancora ieri a precisa domanda, il portavoce del Dipartimento di Stato l’ha confermato: «Siamo convinti che sia possibile eliminare gli ultimi leader di Hamas senza un’invasione massiccia».
La guerra non si ferma, si allarga: a sud proprio a Rafah, la città che gli Usa vorrebbero lasciare intatta, e a nord verso il Libano. Ieri quattro edifici civili sono stati colpiti da bombe aeree a Rafah. In un caso sono morti undici palestinesi della stessa famiglia, compreso il patriarca di 75 anni e la moglie di 62. Sempre ieri, per il terzo giorno consecutivo, è restato alto il livello di scontro tra Israele e la milizia sciita del Libano, Hezbollah. Ai bombardamenti aerei israeliani, i miliziani sciiti di Hezbollah rispondono con i razzi. Ieri 6 libanesi sono stati uccisi dalle bombe dello Stato ebraico non lontano dalla base dei caschi blu italiani di Naqura quasi al confine con Israele.
La premier italiana Giorgia Meloni è atterrata in serata a Beirut e oggi dovrebbe visitare proprio i nostri soldati al confine. Fanno parte della missione internazionale Unifil che verifica il rispetto della «linea blu» di separazione tra Stato ebraico e Libano. Una linea vecchia di decenni che non è mai diventata un vero e proprio confine perché i due Paesi sono ancora formalmente in guerra. Tra loro c’è solo una tregua che viene però quotidianamente ignorata. In genere le visite come quelle della Meloni sono annunciate allo Stato Maggiore israeliano che quindi evita di colpire sul percorso indicato. Non ci sono mai stati seri problemi di sicurezza.
Continua a Washington la lunga missione del ministro della Difesa di Tel Aviv, Yoav Gallant. Una permanenza interpretata in molti modi. Gallant è rimasto nonostante la furia del suo primo ministro e qualcuno ci ha visto una spaccatura tra i due. Forse addirittura propedeutica ad una crisi di governo. Gallant in sostanza starebbe offrendosi agli Stati Uniti come sponda politica per formare un governo alternativo a Netanyahu. Il ministro è anche contrario all’esenzione del servizio militare per gli ebrei ultraortodossi che Netanyahu vorrebbe far passare a giorni. Secondo Haaretz, invece, la permanenza di Gallant a Washington ha un unico scopo: accelerare la fornitura di munizioni «made in Usa». Servono per continuare la guerra contro Hamas e anche per prepararsi a un’escalation con la milizia libanese sciita di Hezbollah nel nord.
fonte: CORRIERE DELLA SERA
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