In Aula Paolo VI la seconda predica d’Avvento tenuta dal cardinale predicatore pontificio: in Occidente, nel nome della convivenza interreligiosa, si inventano fiabe e personaggi per eliminare dalle feste natalizie i riferimenti al Vangelo, ma è “il pretesto di un certo mondo laicista che non vuole questi simboli”
L’Osservatore Romano
Con il passare del tempo il presepio si è purtroppo «allontanato da quello che esso rappresentava per Francesco»: è diventato spesso «una forma d’arte o di spettacolo di cui si ammira l’allestimento esterno, più che il significato mistico». Lo ha sottolineato il cardinale Raniero Cantalamessa durante la seconda predica di Avvento, tenutasi nell’Aula Paolo vi questa mattina, venerdì 22 dicembre, alla presenza di Papa Francesco.
La riflessione del predicatore della Casa Pontificia sul significato del presepe si è inserita in una più ampia meditazione mariana — il tema della predica era «Beata Colei che ha creduto» — che ha preso le mosse dalla «scoperta di una dimensione nuova della fede» della Vergine come frutto del «rinnovamento della Mariologia». La Madre di Dio — afferma in proposito il concilio Vaticano ii — «avanzò nella peregrinazione della fede»: infatti, «non ha creduto una volta per tutte, ma ha camminato nella fede e progredito in essa». Nonostante nella sua vita accadano «fatti apparentemente contrastanti che Maria confronta dentro di sé, senza comprendere», Ella crede «sperando contro ogni speranza». E così diviene «madre di molti popoli». Da qui l’esortazione di sant’Agostino: «Crediamo anche noi, perché quel che si avverò in Lei possa giovare anche a noi!».
Attualizzando la riflessione e riferendosi al tempo di Natale, Cantalamessa ha poi osservato che in Occidente «si moltiplicano le iniziative per eliminare dalle solennità natalizie ogni riferimento evangelico e religioso, riducendolo a una pura e semplice festa umana e familiare, con tante fiabe e personaggi inventati al posto dei personaggi veri del Natale»: qualcuno «vorrebbe cambiare perfino il nome della festa». Uno dei pretesti che sta dietro queste iniziative «è di favorire, in questo modo, la convivenza pacifica con credenti di altre religioni, in pratica con gli islamici». In realtà, questo «è il pretesto di un certo mondo laicista che non vuole questi simboli, non dei musulmani». Tanto che nel Corano c’è una Sura dedicata alla nascita di Gesù, della quale il cardinale ha menzionato il testo: «Gli angeli dissero: “O Maria, Iddio ti dà la lieta novella di un Verbo da Lui. Il suo nome sarà Gesù [‘Isà] figlio di Maria. Sarà illustre in questo mondo e nell’altro… Parlerà agli uomini dalla culla e da uomo maturo, e sarà dei Santi”. Disse Maria: “Signore mio, come potrò avere un figlio, quando nessun uomo mi ha toccata?”. Rispose: “Proprio così: Iddio crea ciò che Egli vuole, e quando ha deciso una cosa, le dice soltanto ‘sii’, ed essa è”».
Del resto, la venerazione con cui il Corano ricorda la nascita di Gesù e «il posto che occupa in essa la Vergine Maria — ha ricordato il porporato cappuccino — ha avuto qualche anno fa un riconoscimento inatteso e clamoroso»: infatti, l’emiro di Abu Dhabi ha deciso di dedicare a Mariam, Umm Eisa, «Maria Madre di Gesù», una bellissima moschea dell’emirato che prima portava il nome del suo fondatore, lo sceicco Mohammad Bin Zayed.
Il presepio è dunque «una tradizione utile e bella»; ma, ha ammonito Cantalamessa, «non possiamo accontentarci dei presepi esterni tradizionali». Si deve allestire «a Gesù un presepio diverso, un presepio del cuore». Maria e il suo Sposo continuano, «misticamente, a bussare alle porte, come fecero quella notte a Betlemme». E nell’Apocalisse è il Risorto in persona che dice: «Io sto alla porta e busso» (3, 20). Da qui, l’invito ad aprirgli il cuore: «Facciamo, di esso, una culla per Gesù Bambino. Che senta, nel gelo del mondo, il calore del nostro amore e della nostra infinita gratitudine di redenti!».
Questa, per il predicatore, non è «una bella e poetica finzione mentale; è l’impresa più ardua della vita». Nel cuore «c’è posto infatti per molti ospiti, ma per un solo padrone». Far nascere Gesù significa «far morire il proprio “io”, o almeno rinnovare la decisione di non vivere più per noi stessi, ma per Colui che è nato, morto e risorto per noi». Cantalamessa ha ricordato un’affermazione dell’esistenzialismo ateo: «Dove nasce Dio, muore l’uomo». Ciò è vero; muore, però, «l’uomo vecchio, corrotto e destinato, in ogni caso, a finire con la morte», e nasce «l’uomo nuovo creato nella giustizia e nella vera santità» e destinato alla vita eterna. «È una impresa che non finirà con il Natale, ma può cominciare con esso» ha concluso il cardinale, ricordando che nel Natale di quest’anno ricorre l’ottavo centenario della prima realizzazione del presepio a Greccio: il primo dei tre centenari francescani, al quale seguirà, nel 2024, quello delle Stimmate del santo e, nel 2026, quello della sua morte.
fonte: Vatican News
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